La storia di Angelo tra paura, speranza e donazione di organi. Ricominciare a vivere grazie al trapianto combinato di rene-pancreas. A nove anni scopre di essere affetto da diabete mellito di tipo 1 causato da un’infezione pancreatica. A diciannove è costretto a un ricovero in ospedale per pressione alta data da nefropatia diabetica e da lì un lento progressivo peggioramento che lo porta per un decennio, dal 1999 al dicembre 2008, a continui controlli. Ma poi l’innalzamento del valore della
creatinina lo costringe a un nuovo ricovero d’urgenza e a un esito che cambia la sua vita: dialisi. Questa la storia del rosolinese Angelo Moncada, trentaseienne per raccontare un periodo buio della sua vita, per condividere un’esperienza di cui qualcuno potrà fare tesoro. Angelo racconta di quando la dialisi divenne parte della sua quotidianità: tre sedute settimanali di quattro ore e mezza l’una, e di quanto importante fu il sostegno da parte dell’azienda ospedaliera di Modica che riaccese in lui la speranza in una vita normale. Il trapianto era l’unica soluzione capace di restituirgli una funzione renale e pancreatica idonea e per staccarlo definitivamente dalla dialisi. I medici del reparto di nefrologia dell’Ospedale Maggiore di Modica, il primario prof. Musso e il dott. Blanco, consigliarono al giovane rosolinese di sottoporsi a una visita presso un centro specializzato all’avanguardia per il trapianto combinato
del rene-pancreas, l’Ospedale Cisanello di Pisa. Dal centro trapianti per la prima visita con il Dott. Barsotti Massimiliano Dott. Marchetti Dott. Vistoli la Dott.ssa Bianchi Dott. Signori visto le condizioni cliniche in cui mi trovavo hanno detto che era possibile effettuare il trapianto, iniziò un lungo percorso che lo condusse al trapianto combinato. Da febbraio 2009 per quattro mesi Angelo fece la spola tra Pisa e Modica dove continuò la dialisi e finalmente il 26 giugno venne inserito nella lista d’attesa. Un trapianto che andava effettuato in tempi rapidi, dissero i medici. Il quadro clinico di Angelo era complesso, una lotta contro il tempo, nel caso di mancato innesto degli organi, la sua aspettativa di vita non avrebbe superato i cinque anni. Così, il 28 giugno la prima “chiamata della speranza”, ma purtroppo subentrò un altro fattore: quegli organi non erano compatibili, così come non lo furono quando il 25 agosto un’altra chiamata riaccese un nuovo effimero entusiasmo smorzato dallo stesso esito: donatore non compatibile. La paura per Angelo era tanta, il tempo passava e le sue condizioni di salute peggioravano, non lasciando presagire nulla di buono. Quando, finalmente, il 19 ottobre 2009 alle 17.30 il telefono squillò stavolta per regalare ad Angelo una possibilità. Era arrivato il momento giusto. Il centro di Pisa chiese ad Angelo di recarsi all’ospedale Maggiore per sottoporsi ai controlli e alla dialisi. “Diabete mellito tipo 1 con complicanze croniche evolutive ed uremia terminale” ma la sala operatoria era pronta. Ad aspettarlo il dott. Boggi, con un’équipe di otto chirurghi, personale medico e infermieristico e il dott. Signori che eseguì il trapianto: 11 ore di intervento, gli organi appena innestati ripartirono subito e il valore della creatinina cominciò a scendere. Tra lo stupore di infermieri e familiari, la mattina dopo Angelo riuscì perfino a muovere i primi passi. Angelo aveva lasciato Rosolini il 20 ottobre e, dopo una degenza ospedaliera di venti giorni e alcuni mesi a Pisa, fece rientro a casa il 6 dicembre. Per sei mesi gli venne prescritto riposo assoluto. Il buio degli anni precedenti lasciò spazio a una determinazione maggiore, a una fede rinvigorita. La sua vita ricominciò da dove si era fermata: riprese a lavorare e assecondò la passione più grande, il ciclismo, forte di una nuova consapevolezza: l’importanza della donazione che gli aveva salvato la vita. Angelo Moncada ha voluto rendere pubblica la sua storia per trasmettere a chi come lui oggi vive una situazione difficile, la speranza, oltre che per sensibilizzare alla ricerca e alla donazione, sfatando luoghi comuni e dicerie nate all’ignoranza. “Il trapianto, spiega Angelo, non è esclusivo, è per tutti indistintamente e indipendentemente da status sociale, colore ed età. È per chi ne ha un reale bisogno. Lo stato italiano non vuole soldi, ma salute.” Continua a parlare e, commosso, ripete più volte quanto sia riconoscente ai medici e al personale infermieristico del Cisanello di Pisa per l’affetto e la professionalità con cui è stato assistito nel profondo rispetto della sua dignità. La risposta è secca, decisa. “Sì. Ho conosciuto una realtà fatta di dolore e di felicità, di morte e di guarigione. L’ospedale è una scuola di vita. In Toscana sono stato aiutato da associazioni di cui ignoravo l’esistenza. Oggi il mio sogno è quello di costituire un’associazione per aiutare chi, specie nel mio territorio, ha bisogno di consigli, aiuto, sorrisi e speranza. Prima del trapianto pregavo per ricevere gli organi; dopo il trapianto alla gioia dell’operazione è seguita una riflessione che mi accompagna ogni giorno: penso alla famiglia che ha acconsentito all’espianto, penso a chi mi ha trasmesso in dono la vita e ora continua, in modo diverso, a vivere in me; a chi donandomi la vita ha permesso che da me ne nascesse un’altra: Ilary”.