il 4 dicembre 2017 è stata approvata in via definitiva al Senato, con 180 voti favorevoli, 71 contrari e 6 astenuti, la legge sul biotestamento (legge 22 dicembre n.219 [1], entrata ufficialmente in vigore il 31 gennaio 2018[2]. La legge, che ha avuto come primo firmatario il deputato del Movimento 5 Stelle Matteo Mantero, è passata grazie all’asse trasversale formata da Partito Democratico, Mdp-Liberi e Uguali e Movimento 5 Stelle.
La norma si articola in sette punti:
- Consenso informato
Questo punto prevede che nessun trattamento sanitario possa essere intrapreso o proseguito senza il consenso libero e informato dell’interessato. Il documento per il consenso informato deve essere in forma scritta, ma può essere sostituito da videoregistrazione, o da altre tecnologie, se il paziente non è in grado di sottoscriverlo di persona. - Accanimento terapeutico, sedazione profonda e abbandono cure
La legge garantisce al paziente il diritto all’abbandono delle terapie, impedendo così qualunque tipo di accanimento terapeutico. Assicura, inoltre, la terapia del dolore fino alla sedazione profonda continuata. Il medico, con il consenso del paziente, può mettere in atto la sedazione palliativa profonda, unita alla terapia del dolore, nel caso in cui la patologia in questione sia refrattaria ai trattamenti e provochi sofferenze inutili. - Nutrizione e idratazione artificiali
Per la norma, ogni paziente informato, in grado di intendere e di agire, può accettare o meno il trattamento, o singoli atti del trattamento, proposto dal medico curante. Inoltre, il soggetto in cura può revocare il consenso in qualunque momento, anche nel caso in cui la scelta porti all’interruzione del trattamento. Si può quindi decidere di interrompere anche la nutrizione e l’idratazione artificiali. - Responsabilità del medico
Secondo la nuova legge, il medico deve tener conto della volontà del paziente che sceglie di rifiutare o interrompere un trattamento, ed è esente da responsabilità penali o civili. Si specifica, inoltre, che la legge deve essere rispettata e applicata anche nelle cliniche cattoliche, ma si lascia comunque al medico la possibilità di dichiararsi obiettore di coscienza. - Minori e incapaci
In caso di paziente minore o incapace, il consenso informato è espresso da chi ha la responsabilità genitoriale, dal tutore o dall’amministratore di sostegno. Minori e incapaci devono essere informati al pari degli altri pazienti per poter esprimere le proprie volontà, valorizzando così le capacità di comprensione e decisione dei soggetti. - Dichiarazione anticipata di trattamento (Dat)
La legge concede il diritto a tutti i maggiorenni in grado di intendere e di volere di lasciare disposizioni sulle cure in caso di futura incapacità nell’autodeterminazione. Le dichiarazioni vincolano il medico e possono essere redatte sia in forma scritta che sotto forma di videoregistrazione, nel caso il paziente non riesca a scrivere. Nel documento deve inoltre essere nominata una persona di fiducia che rappresenti il paziente. Le Dat, raccolte in registri regionali, si possono rinnovare, modificare e interrompere in qualunque momento. Infine, il medico può rifiutarsi di rispettarle nel caso siano ritenute incongrue, se sia cambiata la situazione clinica del paziente o se siano sopraggiunte nuove cure dopo la compilazione del documento. - Pianificazione condivisa delle cure
La norma concede infine la possibilità di pianificare le cure in maniera condivisa tra medico e paziente, in rapporto all’evoluzione di una malattia cronica. La pianificazione dei trattamenti può essere modificata e aggiornata secondo l’evolversi della patologia, sia su suggerimento del medico che su richiesta del paziente.[3]
Precedente contesto giuridico
Quando non esisteva ancora in Italia una legge specifica sul testamento biologico, la formalizzazione per un cittadino italiano della propria espressione di volontà riguardo ai trattamenti sanitari che desiderava accettare o rifiutare poteva variare da caso a caso, anche perché il testatore scriveva cosa pensa in quel momento senza un preciso formato, spesso riferendosi ad argomenti eterogenei come donazione degli organi[4], cremazione, terapia del dolore, nutrizione artificiale e accanimento terapeutico, e non tutte le sue volontà potrebbero essere considerate bioeticamente e legalmente accettabili.
L’articolo 32 della Costituzione della Repubblica Italiana stabilisce che «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge»[5] e l’Italia ha firmato (ma non ancora ratificato) nel 2001 la Convenzione sui diritti umani e la biomedicina (L. 28 marzo 2001, n.145) di Oviedo del 1997 che stabilisce che «i desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà saranno tenuti in considerazione»[6]. Il Codice di Deontologia Medica, in aderenza alla Convenzione di Oviedo, afferma che il medico dovrà tenere conto delle precedenti manifestazioni di volontà dallo stesso[7].
È importante sottolineare che nonostante la legge n. 145 del 2001 abbia autorizzato il Presidente della Repubblica a ratificare la Convenzione, tuttavia lo strumento di ratifica non è ancora depositato presso il Segretariato Generale del Consiglio d’Europa, non essendo stati emanati i decreti legislativi previsti dalla legge per l’adattamento dell’ordinamento italiano ai principi e alle norme della Costituzione. Per questo motivo l’Italia non fa parte della Convenzione di Oviedo[8].
Casi di giurisprudenza
Per la prima volta in Italia, il 5 novembre 2008, il Tribunale di Modena emette un decreto di nomina di amministratore di sostegno in favore di un soggetto qualora questo, in un futuro, sia incapace di intendere e di volere. L’amministratore di sostegno avrà il compito di esprimere i consensi necessari ai trattamenti medici. Così facendo si è data la possibilità di avere gli stessi effetti giuridici di un testamento biologico seppur in assenza di una normativa specifica[9] Il giudice scrisse che non era necessaria una normativa sul testamento biologico, anche se i successivi sviluppi del caso di Eluana Englaro dimostrarono il contrario.
Dibattito politico
L’argomento, “eticamente sensibile”, è oggetto di posizioni differenti fra correnti di pensiero di tipo radicale comprese discussioni di ispirazione cristiana sull’eutanasia e di forte difesa della vita.
Per quanto riguarda l’eutanasia il Comitato Nazionale di Bioetica si è espresso nel dicembre 2003 con un documento, di 19 pagine, contenente un’analisi delle problematiche connesse e terminante con una serie di raccomandazioni, il cui rispetto garantisce la legittimità delle dichiarazioni anticipate. Nel documento si afferma che le dichiarazioni anticipate non possono contenere indicazioni «in contraddizione col diritto positivo, le regole di pratica medica, la deontologia […] il medico non può essere costretto a fare nulla che vada contro la sua scienza e la sua coscienza» e che «il diritto che si vuol riconoscere al paziente di orientare i trattamenti a cui potrebbe essere sottoposto, ove divenuto incapace di intendere e di volere, non è un diritto all’eutanasia, né un diritto soggettivo a morire che il paziente possa far valere nel rapporto col medico […] ma esclusivamente il diritto di richiedere ai medici la sospensione o la non attivazione di pratiche terapeutiche anche nei casi più estremi e tragici di sostegno vitale, pratiche che il paziente avrebbe il pieno diritto morale e giuridico di rifiutare, ove capace»[10].
Il documento del Comitato Nazionale di Bioetica afferma inoltre che i medici dovranno non solo tenere in considerazione le direttive anticipate scritte su un foglio firmato dall’interessato, ma anche documentare per iscritto nella cartella clinica le sue azioni rispetto alle dichiarazioni anticipate, sia che vengano attuate o disattese.[10].
Il dibattito sul “fine vita”, animato in primo luogo dalle battaglie portate avanti dal Partito Radicale e dall’Associazione Luca Coscioni, ha indirizzato l’attenzione mediatica su singoli casi di pazienti affetti da malattie irreversibili e degenerative[11]. Si è molto discusso delle vicende di Luca Coscioni, Eluana Englaro, Piergiorgio Welby, Giovanni Nuvoli, Lucio Magri, Walter Pilidu, Fabiano Antoniani (Dj Fabo), Davide Trentini e Loris Bertocco. Questi i casi che hanno maggiormente contributo al cammino che ha portato all’approvazione della legge in materia di consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento.[12][13]
Ma ancor prima dell’approvazione della legge, in molti comuni italiani era già stata avviata la raccolta della dichiarazione anticipata di trattamento dei cittadini residenti nel territorio interessato.[14] Per i promotori di queste iniziative, questi atti non avevano lo scopo di eludere o di anticipare le iniziative legislative, ma erano considerate un’azione necessaria perché, in caso di bisogno, non fosse necessario ricostruire, a posteriori, le volontà dell’interessato, come è successo nel caso di Eluana Englaro.[15]